| Estratto dal libro "Le grandi verità ricercate dall''uomo" - Edizioni Mediterranee, inserisco questo brano che presenta tutte le difficoltà nell'accettare verità estranee alla nostra condizione egocentrista. Quando si afferma che tutto è UNO, lo comprendiamo come qualcosa a cui tendere con tutto noi stessi; ma quando si affronta il problema di come si attua questa graduale identificazione nell'UNO, sorge la difficoltà, non tanto di comprendere il concetto, ma piuttosto di accettarlo nella necessaria perdità dell'io, così come lo conosciamo. Si parla di fusione degli esseri, della comunione dei santi e della trascendenza di una personalità che era funzionale alla percezione, ma deve essere sostituita da un senso dell'essere che renda possibile questa nuova acquisizione di coscienza. Non è facile; ma questa lezione, come tante altre, ci accompagna con quella logica e coerenza che non può mancare di farci riflettere. .............Per quanti sforzi l'uomo faccia per rendere oggettiva l'osservazione e la scoperta della realtà, ciò che egli osserva e scopre è sempre indissolubilmente legato alla sua condizione umana e perciò sarà sempre relativo e soggettivo. La Realtà in sé è tutt'altra cosa da quella che appare a chi l'osserva in uno stato d'essere limitato. Il mondo dell'uomo è un mondo di apparenze; dove è ritenuto vero, provato, ciò che riaccade ripetendo le medesime condizioni; o ciò che, se non è ripetibile a volontà, ha il conforto d'essere testimoniato da più osservatori; ed è tanto più vero quanto più numerose sono le prove ripetute e le testimonianze. Certo questo è un criterio, ma occorre essere consapevoli che il suo valore non è assoluto; ed essere continuamente consapevoli proprio per quel principio che è alla base del progresso: cioè tendere quanto più è possibile a valori assoluti e oggettivi. Paradossalmente, si è più vicini alla Realtà oggettiva ammettendo la soggettività della realtà fisica che non rifiutandola. Se si è disposti ad ammettere che ciò sia vero; ossia se si può accettare che ciascuno abbia una sua verità valida anche se non corrispondente a quella generale, cioè a quella che statisticamente è la più comune; sembrerebbe di poter allora affermare che la realtà di una situazione è data dalla somma delle conoscenze di tutti coloro che sperimentano quella situazione. E siccome la conoscenza è comunicabile, sembrerebbe possibile costituire una specie di "memoria" dove far affluire le varie conoscenze e comporre così il dossier di una determinata situazione, di una certa realtà composita. Tuttavia, così facendo, la conoscenza che si avrebbe sarebbe solo la conoscenza dell'apparenza della situazione. Infatti, tutta la realtà di una situazione composta da due sperimentatori non è data dalle azioni, dai desideri, dai pensieri e soprattutto dal sentire di entrambi. E com'è possibile conoscere completamente la realtà di quella situazione, se non essendo tutti coloro che quella situazione vivono?, se non attraverso la comunione dei sentire individuali?, se non attraverso la comunione degli esseri? Non solo: per il principio che già enunciai, rifacendomi ad esempi tratti dal mondo della percezione; ossia per il principio che nella simultaneità, cioè quando si è all'unisono, v'è fusione, cioè comunione, e quando v'è fusione v'è trascendenza; in virtù di questa trascendenza ciascuna comunione non è fine a se stessa ma è causa e preludio di altre. Meraviglioso, mutuo trasfondersi degli esseri per un reciproco arricchimento. Se si rifiuta la comunione degli esseri, se la non si ammette, implicitamente si afferma che l'individuo sarà sempre un essere limitato che potrà conoscere, nel senso di vera completezza, non più di ciò che lui stesso direttamente sperimenterà. Del rimanente, al massimo, potrà conoscere l'apparenza. E vi sarebbe sempre un rimanente, anche se innanzi a lui vi fosse un cammino senza fine. Anzi, più lungo fosse il cammino e più vasto sarebbe il rimanente. A meno che, in realtà, non si trattasse di un solo Essere che vivesse, di volta in volta, la vita di tutti gli individui esistenti in tutti i Cosmi. In effetti, nel virtuale frazionamento dell'Assoluto che origina la molteplicità, è come se ciascun sentire relativo, eterno in sé, senza tempo al di là del suo apparente cessare, fosse solo ad esistere in qualità e quantità; perciò è come se esistesse un solo sentire alla volta. Ma la conseguenza logica di ciò non è che un solo essere relativo, attraverso un processo di divenire senza fine, tenda all'Assoluto, cioè che l'apparente molteplicità degli esseri in realtà si risolva in un solo essere relativo; la conseguenza è che tutto quanto esiste è come se esistesse per ciascun individuo. Per ognuno è come se il Tutto esistesse solo per sé. Da qui la soggettività della vita individuale. Ora, siccome ciò che non è incluso in una realtà relativa, limitata, non esiste per quella; per quella è come se non esistesse in assoluto; se ne deduce o che il Tutto è smembrato, ma onestamente ci sarebbe da domandarsi come un organismo smembrato possa sopravvivere, o si deve ammettere che l'unità del Tutto, la sintesi, può essere raggiunta solo nella comunione dei sentire relativi. In questo mosaico meraviglioso che è l'Esistente, ogni concetto è strettamente legato e dipendente dagli altri e non può essere sostituito con uno che con gli altri non armonizzi. In virtù della comunione dei sentire, la molteplicità degli esseri nell'apparenza è veramente tale e nella realtà si risolve, sì, in un solo essere, ma in un solo Essere Assoluto. E nell'unità di un solo Essere, che fonde il Tutto in un abbraccio indissolubile e senza eccezioni, chi sono gli altri? Esseri di se stessi complemento, con limitazioni analoghe alle proprie, congegnate per la reciproca elisione. Che senso ha, di fronte ad una siffatta Realtà, discriminare i propri simili, quando grazie alle loro stesse esperienze anche il proprio essere si arricchisce? Quanto pretestuose appaiono le ragioni che si adducono per considerare diverso chi è in tutto simile a se stessi! Quanto apparenti e illusori si rivelano i motivi su cui sono fondate le caste, le classi sociali, le distanze umane! In tale visione come illogico si dimostra il disprezzo dei propri simili! Perché neppure la diversità dell'altrui intimo essere, se si è compreso, può giustificare il dispregio nei confronti degli esseri più rozzi, che tali sono in conseguenza della loro stessa natura; anzi se si riesce a comprendere ed accettare ciò che si scopre, allora si vede che i propri simili, comunque appaiono, sono la propria completezza, la propria vera ricchezza. E in questa convinzione, contrariamente a quanto può sembrarvi, non v'è un espandersi, un ingigantirsi dell'io; perché l'io esiste solo quale prodotto della limitazione; ma v'è il cadere di quelle barriere che l'io genera; il liberarsi, l'espandersi della coscienza; un arricchirsi dell'immensità dell'impersonale. KEMPIS
Edited by frenkevita - 11/2/2013, 13:49 |
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