Osservando i bambini...

copiare - giocare - sbagliare

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  1. isaefrenk
     
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    Copiare



    Sin dalla nascita copiamo. Copiamo gli atteggiamenti dei nostri genitori, e siamo felici perché a questo nostro imitarli, loro rispondono con gioia, divertimento, tenerezza. Copiamo parole e ripetiamo gesti.

    E’ come imparare un copione, ripetere il modello di riferimento che, ad esempio, per noi erano i nostri genitori.



    Più tardi nella vita, generalmente a scuola, ci arriva l’imperativo “ripeti”, cioè l’ordine di copiare meccanicamente e, cominciamo ad essere un pò meno felici. Ci assale la paura di sbagliare, di dispiacere, di deludere le aspettative e così di non meritare più di essere amati.

    Poi, ancora, e sempre a scuola ci arriva il contr’ordine di “non copiare” - dal compagno naturalmente. E allora, è giusto, è sbagliato, è opportuno o riprovevole copiare? E poi, “come” copiare?

    Riflettiamo un momento su copiare e creare.

    Possiamo copiare un disegno, o possiamo fare un ritratto, un paesaggio, come fa un pittore. Ma il pittore ci mette qualcosa di suo, il risultato non è identico all’originale, ma è un’interpretazione. Rappresenta la realtà così come lui la vede. Anche il fotografo ci mostra la sua visione della realtà con l’inquadratura da lui scelta, oppure attraverso la messa a fuoco dei dettagli per lui più significativi.



    Fotocopiare, invece, è una riproduzione precisa, quasi perfetta, però senz’anima, una riproduzione tecnica. Dico “quasi perfetta” perché basta fare una fotocopia dalla fotocopia e ancora una fotocopia dalla fotocopia e ci accorgiamo che si differenzia sempre di più dall’originale.

    Perfetta è solo la copia digitalizzata, è definitiva.



    Quando creiamo, in realtà copiamo qualcosa già pre-esistente, la togliamo dal suo contesto originario e ci mettiamo qualcosa di nostro: la copia non è più “conforme” all’originale ma è diventata qualcosa di diverso. E’ diventata parte di un processo evolutivo.



    Quando copiamo comportamenti, e qui mi riferisco a.e. a bambini che copiano l’atteggiamento di un genitore, mostriamo interpretazioni dell’originale che spesso appaiono buffe. Importante è sottolineare che la figlia si comporta come la mamma, però non è la mamma, fa la mamma a modo suo.



    Creare è far nascere una forma da uno stimolo che viene da fuori e che elaboriamo a modo nostro. L’originale viene assimilato, digerito e trasformato in un prodotto nuovo.



    Creare è anche far nascere una forma da uno stimolo interno assolutamente proprio, individuale, originale.



    Prendiamo ad esempio il pensiero.

    Il pensiero copiato come uno “slogan”, o la ripetizione, non è un pensiero elaborato, assimilato e interpretato, ma è un “fotogramma di pensiero congelato”. Imparare a pensare come l’insegnante di storia o di matematica non è attività di pensiero, ma sterile ripetizione.



    Questo pensiero ripetuto è accompagnato dalla preoccupazione di non essere precisi nel copiare, ripetere e di conseguenza dal timore di un giudizio sul fatto di essere in grado o meno di memorizzare, ovvero di un giudizio quantitativo, o peggio ancora dalla paura di essere giudicati incapaci come persone.



    Invece il pensiero che viene assimilato o assorbito subisce una trasformazione, un cambiamento che non nega la paternità all’origine, ma mette il pensiero in movimento e che diventa un pensiero creativo anche se partito come copia.

    Questo pensiero in movimento, invece, è accompagnato da una sensazione di piacevole eccitazione per la creazione del nuovo dal vecchio.



    Non inventiamo mai cose completamente nuove, ma mescoliamo in maniera nuova e originale elementi già conosciuti, poi li mettiamo in nuovi contesti, configurazioni e costellazioni e il tutto cambia.



    Giocare



    L’altro giorno ho chiesto a mia figlia tredicenne che cosa si può fare per aumentare il piacere di stare nella scuola. Risposta: giocare e divertirsi di più, lasciarci acquisire ed elaborare da soli le informazioni per ottenere risultati. Fare più ricerca autonoma.



    Il gioco è per l’uomo un elemento fondamentale nell’esplorare e comprendere il mondo. Il gioco è “par eccellence” legato al divertimento e al piacere e trova la propria gratificazione in sé e non nel fine da raggiungere o nel risultato da produrre. Ogni esperimento è un gioco.



    Gli scienziati giocano nei loro laboratori, giocano con elementi o componenti, provenienti da altri contesti e da questi copiati, e provano a metterli insieme in un ordine nuovo.

    Edison non si è svegliato una mattina e ha detto: “Oggi inventerò la lampadina”, ma ha giocato con gli ingredienti finchè non ha trovato la combinazione giusta.



    Non posso qui approfondire le diverse teorie sul gioco ma vorrei distinguere grossolanamente tra due tipi di gioco.



    I giochi con le regole imposte e che hanno lo scopo di vincere (monopoli, giochi di società, poker ecc.), e che possiamo chiamare giochi finiti, perché c’è un inizio e una fine.

    Sono i cosiddetti “Giochi di regole”: giochi di gruppo con ruoli distinti e complementari dove prevale l’imitazione delle situazioni o delle attività. Essendo organizzati secondo regole, questi giochi di gruppo contribuiscono all’evoluzione mentale del bambino riducendo il suo egocentrismo e addestrandolo al controllo imposto dalle regole e alla verifica che gli altri le rispettino.



    Poi ci sono i giochi con le regole inventate, ovvero le non-regole che si cambiano a seconda dell’evoluzione del gioco e che hanno lo scopo di continuare (bambole, macchinine ecc.). Sono i giochi di ruolo e di identificazione con il giocattolo.



    Basta osservare bambini quando giocano con le bambole. “Io ero la mamma e tu eri la figlia”. “Facciamo finta di…” “Immaginiamo di essere…”

    Quest’ultimo tipo di giochi è particolarmente amato da scienziati e ricercatori ed è quello a cui faceva riferimento mia figlia. E’ in più un gioco di tipo collaborativo dove si realizza una vera integrazione, con divisione dei ruoli, cooperazione, subordinazione dei desideri individuali alle esigenze del gruppo. In ultimo, ma non meno importante, favorisce lo sviluppo della capacità immaginativa, della creatività e della capacità empatica.





    Sbagliare



    Un elemento fondamentale del giocare con le parti copiate è il metodo “try and error”, provare e sbagliare.



    Ogni sperimentazione prevede errori. Questi sono necessari per indurre a modifiche invece di continuare ostinatamente a riprodurre il fallimento.

    Alla fine o l’esperimento funziona o bisogna modificare le regole del gioco finchè questo non funziona.

    Penso al brainstorming, il momento più fertile nella elaborazione di un progetto, ma solo a patto che il gruppo si conceda il permesso di giocare, di provare, lasciando da parte giudizi e valutazioni di sorta.



    Sbagliando s’impara: questa è la via maestra dell’apprendimento.



    Solo la consapevolezza dell’errore mi fa cambiare strada alla ricerca di soluzioni.

    Una persona che con serenità ammette i suoi errori e ne parla ha tutte le possibilità di fare una nuova e diversa esperienza che parte da quella precedente.

    Tutto cambia invece quando la persona teme di essere giudicata male per il solo fatto che ha commesso un errore nel ripetere ciò che voleva sentire l’esaminatore. Impariamo così a nascondere i nostri errori e disimpariamo ad ammetterli. Ci troviamo nella situazione paurosa descritta all’inizio. Immaginate invece un insegnante/docente che di fronte ad un vostro errore, da voi riconosciuto, vi loda per l’impegno e vi chiede: “Che cosa ti insegna questa esperienza? Che cosa hai capito?”



    Non possiamo travasare né la conoscenza né l’esperienza, ma possiamo creare situazioni sufficientemente protette per condurre gli allievi nella esperienza, permettendo loro di sbagliare giocando con elementi copiati per trovare nuove soluzioni.



    Solo quando copiare, giocare e sbagliare non verranno diminuiti nel loro valore, cioè non saranno associati a giudizi negativi del tipo: non essere infantile, a scuola non si gioca ma dobbiamo fare cose serie, ogni bel gioco dura poco, chi sbaglia è un asino, solo i furbi copiano ecc., diventa possibile esprimere il proprio potenziale e le proprie risorse. Il processo di apprendimento diventa divertente perché attinge al piacere, all’eccitazione e alla soddifazione.



    Il piacere nel processo di apprendimento, inoltre, è legato alla “significanza personale” dell’apprendimento, cioè alla scoperta che l’oggetto di studio ha qualcosa a che fare con la mia vita, ha un senso nella mia vita. Dev’essere legato ad una sensazione piacevole e così mi apro alla nuova esperienza. A volte basta l’entusiamo di un’altra persona a svegliare in me una sensazione di piacere (es.insegnante entusiasta).



    In termini gestaltici ci troviamo nella fase del contatto, la domanda che cosa voglio e “come” posso soddisfarlo diventa figura.

    La direzione dell’attenzione si sposta dalla percezione del proprio bisogno sulle possibilità di soddisfarlo. La relazione personale é necessaria per creare un apprendimento che abbia una significatività personale.



    Il piacere ora si può evolvere in eccitazione, (Aufregung, Excitement) agitazione positiva. Ciò che avviene è una specie di identificazione totale con l’oggetto di apprendimento. Come la sensazione di venire assorbito nell’oggetto.

    I confini tra l’io e l’oggetto si confondono e diventano tutt'uno. Basta pensare al gioco nel quale il giocatore si identifica con il personaggio (bambola).

    In termini gestaltici ci troviamo nella fase del contatto finale: entusiasmo e partecipazione interiore sono il risultato; lo conosciamo tutti personalmente, per esperienza diretta.



    Alla fine, post-contatto in Gestalt, viene la soddisfazione. Un’altra sensazione piacevole. Si verificano le conseguenze del processo di contatto: l’esperienza fatta viene integrata, assimilata dalla persona.



    Come filo conduttore troviamo il piacere come sensazione che accompagna tutto il processo di apprendimento qui descritto, e questo mi porta ad una riflessione finale: per un apprendimento piacevole e significativo sono indispensabili maestri entusiasti, motivati e capaci di trainare, cioè persone che permettono a se stesse di copiare, giocare e sbagliare. Persone che si orientano al piacere della vita e non al dovere e al sacrificio.



    Disse Maria Montessori: “I bambini, e gli esseri umani in genere, imparano soltanto da chi amano”. Aggiungo: da chi si sentono amati, accettati e non giudicati.



    Per me è difficile immaginare un amore che non sia legato al piacere.


    http://www.apuliagestalt.it
     
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0 replies since 11/9/2008, 13:26   73 views
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