SENTIRE

Sentire in senso lato e sentire di coscienza

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  1. isaefrenk
     
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    Sentire in senso lato e sentire di coscienza

    Il sentire del quale parliamo, considerato nella sua forma più elementare, è la coscienza di esistere: il sentirsi d’essere.
    Invece il sentire nella espressione assoluta è la Coscienza Assoluta. Il sentire d’essere il Tutto - Uno, e perciò sentire al di là della separatività e della sequenzialità; in altre parole: una coscienza in cui il Tutto è nella sua reale condizione d’essere di Eterno Presente e di Infinita Presenza; una coscienza che non è condizionata ne’ dal tempo né dallo spazio; una coscienza che contiene il Tutto – Uno.
    Questo non significa che gli estremi della scala siano contrapposti o contrapponibili. Infatti il Sentire Assoluto, contenendo in sé per intensità ogni possibile sentire, quindi i sentire di tutti i Cosmi, è così l’Uno – Assoluto che, proprio perché tale, non ha e non può avere contrapposti.
    Come ho detto, il Sentire Assoluto contiene per ampiezza tutti i possibili sentire; e non potrebbe essere diversamente perché, altrimenti, non sarebbe Assoluto. Sul piano assoluto, non essendovi successione, potenza ed atto sono una sola cosa; quindi se il Sentire Assoluto, per essere tale deve contenere in ampiezza tutti i possibili sentire, essi non possono che esistere ed essere realizzati, cioè non possono rimanere allo stato di possibilità non realizzata: sul piano assoluto “possibile” e “realizzato” sono la stessa cosa; solo ciò che è realizzato è possibile, e ciò che è possibile è realizzato. Questo perché Tutto è Uno.
    Da quanto ho affermato si può azzardare una figurazione concettuale della Coscienza Assoluta, e cioè: i sentire relativi sarebbero come le cellule che compongono la Coscienza Assoluta, la quale tuttavia, trascende la sommatoria dei sentire che, in certo senso, la costituiscono.
    Un sentire relativo esiste nella sequenzialità e nella separatività, nel tempo e nello spazio, proprio perché è contenuto nella Coscienza Assoluta, contribuendo in modo indispensabile alla assolutezza della coscienza, proprio perché è manifestato o si manifesta nel tempo e nello spazio. Perciò pensate quanto ciascun essere sia importante e, quello che più conta, lo sia egualmente a tutti gli altri.
    Tutto quanto esiste nel mondo della molteplicità – ossia tutto quanto ogni essere sta vivendo, ossia il sentire di ogni essere, ossia ogni possibile sentire – è la manifestazione nel mondo della molteplicità, cioè del tempo, dello spazio, della sequenzialità, della separatività, di ciò che è, che esiste al di là del tempo, dello spazio, della sequenzialità della separatività, di ciò che ha la sua reale dimensione d’esistenza nell’Eterno Presente,nell’Infinita Presenza, nell’Unità Assoluta.
    Il sembrare di finire, di non essere mai lo stesso, di trascorrere, è il modo attraverso il quale ciò che per sua stessa natura è illimitato si limita; è l’apparente limitazione che origina la caleidoscopica molteplicità; ed è l’apparente molteplicità che rende Assoluta, e quindi Unica, Una, la Realtà.
    Senza meditare su stati di essere che sono inimmaginabili per la condizione umana, si può egualmente parlare dell’argomento del sentire soffermandoci a considerare quale parte del sentire relativo, del quale vi parliamo, vi sia nei sentimenti e nei risentimenti dell’uomo.
    Quando abbiamo parlato di sentire dell’uomo, peraltro precisando sempre sentire in senso lato, ci siamo riferiti a tutti quei momenti dell’animo umano che sono conosciuti come sensazioni, emozioni, desideri, preoccupazioni, angosce, gioie, trepidazioni, e a tutte quelle elaborazioni della mente che costituiscono l’attività intellettiva. Infatti, se il sentire nella sua forma più elementare è coscienza di esistere, è sentire in tale senso tutto ciò che dà il sentirsi di essere che fa sentire di esistere. E che cosa è nell’uomo, che lo fa sentire di esistere se non il suo intimo essere in cui si ripercuote il mondo esterno, in cui gli stimoli che provengono dall’ambiente si traducono in reazioni e quindi in attività? Ciò non significa però che il sentirsi di essere non possa esistere anche indipendentemente da ogni stimolazione ambientale. L’essere, infatti, può sentirsi vivo anche quando non ha sensazioni, emozioni, desideri, pensieri e via dicendo; ma perché questo sia vero, e possa esserlo, è necessario che il suo intimo essere abbia raggiunto una particolare ricchezza, un patrimonio-retaggio di molteplici acquisizioni; in altre parole, che abbia abbastanza costituita la sua coscienza individuale, ciò che rappresenta e determina il sentire vero e proprio.
    Perché sentire vero e proprio? Forse che quando un uomo con fredda determinazione premedita ed attua l’azione di uccidere un suo simile, quell’odio che manifesta e che denota la sua scarsa evoluzione non è un suo sentire?, non fa parte del suo essere? O quando, suggestionati da una crudele propaganda, i fanatici arrivano a suicidarsi in massa, si può forse dire che l’azione non rispecchia la volontà e l’intenzione dell’attore, la sua vera aspirazione non dissimulata e quindi il suo sentire quanto meno del momento? Nessuno certo potrebbe sostenerlo. Tuttavia il vero sentire quello che va oltre il divenire, che è stabile e indeperibile, che è capace di sottrarre l’essere ai condizionamenti dell’ambiente e alle reazioni scatenate dagli stimoli esterni e alimentate dalla mancanza di amore, è qualcosa di ben diverso.
    Il vero sentire è ciò che mai scade, ma cresce e, modificandosi nell’espressione, non è mai in contraddizione con se stesso. Il vero sentire è ciò che fa vivere un essere unicamente per gli altri dimenticando se stesso. Quindi “vero” non nel senso di veritiero, ma nel senso di non deperibile, anzi destinato a crescere di intensità e di nobiltà: il sentire di coscienza.
    Certo anche quando colti dall’ira, violentemente reagite o agite colpendo chi è oggetto della vostra collera, manifestate uno stato d’animo e perciò un sentire in senso lato; cioè agite come sentite, almeno in quel momento; ma in quel sentire poco c’è di quel sentire di coscienza che si acquisisce con l’evoluzione, che non si perde più ma via via cresce ed è capace di fare di un egoista un essere che si consuma d’amore per gli altri, che è capace di trasformare l’angoscia che danno la crudeltà e l’avidità nella beatitudine di chi ha tutto, perché è tutto.
    E’ proprio la mancanza di un simile sentire che rende gli esseri egoisti e preda dei molteplici condizionamenti ambientali, dei meccanismi animali; è proprio il sentirsi al centro del mondo e quindi il non tenere in considerazione le altrui legittime aspettative, i giusti diritti, e quindi la mancanza di amore altruistico che fanno dell’uomo un essere che vuole prevalere sugli altri, in un modo o nell’altro, in un campo o nell’altro.
    Così, c’è difetto di sentire di coscienza, mancanza di coscienza individuale, quando si ruba, si sfrutta, si uccide, si tradisce; quando non si fa il proprio dovere o lo si fa per guadagnarsi il paradiso. E qui si apre un altro aspetto del discorso sul sentire: comportarsi diversamente da come si sente, che è una caratteristica prettamente umana, sconosciuta agli animali.
    L’animale, normalmente, non conosce le varie forme di dissimulazione che l’uomo, vivendo in società, per varie ragioni, continuamente, mette in atto nei suoi comportamenti.
    Comportarsi diversamente da come si sente può essere riprovevole, come nella ipocrisia, o encomiabile, come nelle rinunce che si fanno per non dispiacere agli altri. Anche in questo comportamento, quindi, non si sfugge alla legge generale secondo cui la verità dell’intimo sentire, e quindi dell’individuo, sta nell’intenzione. Ciò è tanto vero che solo quando si ha l’intenzione di danneggiare il comportamento può essere diverso dal sentire.
    Infatti, quando per non nuocere si agisce diversamente da come si desidererebbe, anche se si ha un comportamento che non corrisponde al desiderio e quindi al sentire in senso lato tuttavia quel comportamento corrisponde all’intenzione di non nuocere e quindi al sentire di coscienza, a quello vero.
    In altre parole: quando tra il fare una cosa che gratificherebbe il proprio egoismo e il non farla per non nuocere agli altri che ne sarebbero dispiaciuti o danneggiati prevale la volontà di non danneggiare, si agisce come si sente anche se l’azione non corrisponde al desiderio egoistico, perché fra i due sentire – quello di desiderio e quello di coscienza – quello vero è il secondo che prevale sul primo: perciò si agisce secondo il proprio vero sentire.
    Così si spiega logicamente perché abbiamo sempre affermato che è legittimo violentare se stessi solo quando lo si fa per non danneggiare gli altri, perché solo in questo caso il comportamento rispecchia l’intenzione ed il sentire di non nuocere.
    Quando invece si violenta se stessi, ad esempio, per meritarsi il paradiso, il comportamento morale non corrisponde al sentire, che è solo quello di meritarsi il premio eterno, cioè egoistico: perciò v’è rottura fra comportamento e sentire e il dominio di sé, che determina tale rottura, non è positivo.
    Mentre quando si tiene un comportamento retto, coartando i propri desideri egoistici, convinti di seguire e perseguire il volere di Dio, allora non c’è discordanza fra il sentire e l’agire: entrambi sono ispirati e volti a seguire la divina volontà.
    Se ne può concludere che solo quando si è animati dall’egoismo può esservi discordanza fra il sentire e l’agire. La discordanza fra sentire ed agire trae seco nel tempo tutte quelle scontentezze, conflittualità, irritabilità, squilibri che sono all’origine di molte nevrosi.
    Il sentire che fa parte del proprio intimo essere non è legato al ricordo di esperienze avute. Ciò che è entrato a far parte del proprio sentire non è più perduto, ancorché si dimentichi l’avvenimento o gli avvenimenti che hanno determinato l’ampliamento del sentire. Così, il sentire che, per ampiezza, contiene sentire meno ampi, è quello che è anche se l’individuo che lo manifesta non ricorda le esperienze che manifestarono i sentire meno ampi contenuti nel suo sentire attuale. Tuttavia, nell’essere di ognuno è sempre contenuta, ed è sempre possibile riviverla, ogni esperienza di ogni esistenza nei minimi dettagli che, vissuta, fu capace di manifestare il relativo sentire.
    Se ciò è vero per il sentire di coscienza, non lo è però per il sentire in senso lato. Tutti i condizionamenti che l’individuo subisce dall’ambiente e dall’educazione – i quali dominarono, quando il suo sentire di coscienza era esiguo, il suo modo di pensare, i suoi desideri, le sue aspirazioni – sono qualcosa che gli è appiccicato addosso; che non viene dal suo essere se non in quanto il suo essere non si oppone al recepimento di quei condizionamenti. Perciò quei pensieri, quei desideri, quelle aspirazioni sono strettamente connessi a una mentalità legata al ricordo degli ammaestramenti avuti per mezzo dell’educazione; quando quel ricordo viene a cadere, cade la mentalità posticcia.
    In certe società tra gli elementi che concorrono a rendere stimato un uomo c’è la non disponibilità della propria moglie all’adulterio. È paradossale: quello che , tutt’al più, può essere considerato un comportamento censurabile della moglie, diventa disonore del marito. Ebbene, gli uomini di quelle società naturalmente diventano tutori dell’onestà delle loro mogli, non tanto perché un adulterio li colpisce affettivamente quanto per salvaguardare la loro reputazione. Invero, un simile costume sociale fa presa perché non si è morti a se stessi, cioè non si ha quel sentire che fa trascendere l’ambizione ispirata dall’io egoistico e fa capire che quello che gli altri possono pensare non cambia in realtà quello che si è.
    Ora, una tale sollecitudine a salvaguardare il proprio onore è chiaramente posticcia, portata dalle consuetudini e credenze sociali e legata al ricordo di simili regole. Se il ricordo venisse meno e l’individuo fosse trapiantato in un altro diverso ambiente, il suo sentire lato verrebbe meno quale non facente parte del suo intimo, reale essere. Il giorno invece in cui supererà il processo di affermazione del suo io egoistico, e quindi l’ambizione e la sensibilità all’altrui giudizio favorevole, in qualunque ambiente sarà posto che subordini l’onore del’ uomo alla fedeltà della moglie, egli non sarà mai condizionato da tale regola, perché il suo vero, intimo, reale sentire glielo impedirà.
    Da quanto ho detto non traete delle facili conclusioni: per esempio che gli anticonformisti siano persone dall’ampio sentire. Come sempre abbiamo detto, non si potrà mai sapere, esaminando un comportamento, quale è l’intenzione e quindi il sentire vero di chi ha quella tale condotta.
    Il senso del mio discorso è di non indurvi ad esaminare voi stessi se non per scoprire la realtà del vostro essere; e ciò può avvenire solo scoprendo i vostri comportamenti, le vostre intenzioni al fine di vedere chiaramente quale è il vostro sentire.
    Così, quando siete irritati, quando provate dell’astio nei confronti degli altri, o addirittura odiate, quando desiderate qualcosa o qualcuno a tal punto che fareste di tutto per raggiungere l’oggetto del vostro desiderio, domandatevi quanto tutto questo sia frutto dei condizionamenti ambientali, l’efficacia dei quali voi rendete possibile con la mancanza di un vero sentire che vi sottragga alle lusinghe e ai richiami sensuali .
    Una tale deficienza non è una colpa, tuttavia il fatto che non lo sia non vi esime dall’adoperarvi per far fluire in voi un sentire più ampio.
    Le strade che possono tanto, sono , come minimo, due: lasciarsi trasportare, fino alla saturazione, dai richiami e dagli stimoli dell’ambiente credendo che siano ciò che si vuole e di cui si ha bisogno in senso vitale; o rendersi consapevoli di essi e quindi sdrammatizzare il richiamo e il contenuto sostituire la funzione stimolante e promovente che essi hanno con una visione, una concezione della vita più nobile e più vera.
    Di tutto ciò abbiamo già diffusamente parlato e non c’è bisogno che ci ripetiamo. Mi pare più utile invece riflettere un poco di più sul sentire, per esempio domandandosi come è possibile che la diversità porti all’unità.
    Mi spiego: non c’è dubbio che ogni essere, vivendo, ha delle esperienze che pure essendo analoghe a quelle di altri esseri della sua stessa specie sono tuttavia diverse in qualcosa.
    Tale differenza è ancora più apprezzabile se pensate agli esseri che stanno sperimentando lo stadio di vita umano, cioè a quegli esseri che sono fra sé spiccatamente diversi perché hanno personalità differenti. Ora, è chiaro che un essere posto in una determinata circostanza, cioè impegnato in una certa esperienza, ha delle reazioni; ossia sente, in senso lato, in funzione anche della sua personalità e dei suoi condizionamenti ambientali. Tali reazioni, tali sentire, sono quindi diversi da un essere all’altro che pure sperimentino analoghe esperienze.
    Ma se anche le condizioni esterne che concretizzano un’esperienza fossero uguali, cioè l’esperienza fosse meccanicamente identica, non c’è dubbio che la risposta a tale esperienza sarebbe diversa da un essere all’altro, posti nelle stesse circostanze, perché diverso è il loro intimo essere. Perciò sembrerebbe di poter concludere che gli esseri continuano a diversificarsi sempre di più nel sentire, o perlomeno tendono sempre a mantenere la reciproca diversità, sicché in un simile contesto l’unità potrebbe essere concepita solo come unione, non come comunione – identificazione. E allora, tutto il discorso delle fusioni dei sentire equipollenti, come finisce? E la contemporaneità o simultaneità del sentire come può esistere se ciascun sentire è diverso? Ecco appunto la necessità di distinguere fra sentire in senso lato e sentire di coscienza.
    Ciò che è diverso fra un individuo e l’altro è il sentire in senso lato, mentre ciò che può identificarsi è il sentire di coscienza.
    Il sentire di coscienza, che impedisce in ogni occasione di uccidere, non è diverso fra gli individui che l’ hanno raggiunto pur essendo state diverse le esperienze che li hanno condotti a raggiungerlo; pur essendo diverso anche l’attuale loro sentire in senso lato. Allora, un equipollenza di sentire di coscienza esiste, mentre non esiste per il sentire in senso lato. Ed è giusto: l’equipollenza di sentire di coscienza rende possibili le fusioni dei sentire allorché essa equipollenza diventerebbe identità; questo proprio perché nell’esistente non vi sono ripetizioni, ma solo variazioni.
    Una cosa identica a un'altra non avrebbe ragione di esistere; non affermerebbe, non manifesterebbe nessuna diversità; non sarebbe unica. Mentre ciascuna unità della molteplicità è unica ed afferma una realtà che non ha l’eguale ed è perciò indispensabile: senza di essa la completezza assoluta sarebbe meno.
    In conclusione, il sentire in senso lato di un essere, sentire che come ho detto comprende le sensazioni, i desideri, i gusti, i pensieri, insomma tutti i moto dell’animo, non ha l’eguale in nessun altro essere. Può essere simile, analogo, della stessa natura, ma non di più. Il sentire di coscienza degli esseri può invece essere equipollente; questo perché tale sentire in sé non ha tutte quelle sovrastrutture che sono le sensazioni, i desideri, ecc, e che sono motivo di differenziazioni. Il sentire di coscienza è un sentire di fondo che quanto più è ampio, intenso, tanto meno è diversificato. I sentire di coscienza analoghi, cioè che hanno le stesse limitazioni, proprio perché tali vibrano, si manifestano all’unisono, sono contemporanei, simultanei. Ed è logico che sia così: tutto ciò che ha le stesse condizioni di esistenza, insomma che è simile, non può che reagire negli stessi termini. Quindi: simultaneità di manifestazione fra sentire analoghi e successione, nel manifestarsi, di sentire diversi per ampiezza, partendo dal sentire più semplice e giungendo al sentire più vasto.
    La frequenza del manifestarsi dei sentire, sto parlando dei sentire di coscienza, è la seguente:
    Manifestazione simultanea del più semplice sentire in qualsiasi spazio tempo essi abbiano ubicati i veicoli densi, quindi contemporaneità di sentire anche in senso lato di uomini appartenenti ad epoche storiche diverse;
    poi: manifestazione dei sentire in senso lato, cioè esistenza degli esseri nei piani densi e conseguente caduta di limitazioni del sentire – base di coscienza;
    realizzarsi, con tale caduta, di equipollenza di sentire, reciproca identificazione dei sentire equipollenti e comunione degli stessi in un solo sentire;
    ancora: manifestazione simultanea di tali nuovi sentire più ampi in qualunque spazio tempo essi siano ubicati e abbiano ubicati i loro veicoli densi;
    quindi: vita di uomini apparentemente a epoche storiche diverse e conseguente caduta di limitazioni del loro sentire di coscienza;
    realizzarsi di sentire equipollenti e comunione degli stessi in un solo sentire. E così via.
    Naturalmente questo processo ha un termine allorché tutti i sentire raggiungono quella comunione e identificazione che ne fa un solo sentire: il sentire assoluto.
    Ma il termine non è fine del sentire: è fine della limitazione del divenire. È sentire non più in termini di successione, di divisione, ma in termini di Essere, di Eterno Presente, di Infinita Presenza, nella intera Realtà Assoluta. E’ essere non solo un sentire di coscienza che comprende tutti i sentire base di tutti gli esseri, ma anche tutti i sentire, in senso lato, di tutti gli esseri che costituiscono la molteplicità, il virtuale frazionamento dell’Uno Assoluto.
     
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