CONSAPEVOLEZZA E COSCIENZA

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  1. isaefrenk
     
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    CONSAPEVOLEZZA E COSCIENZA

    Si dice che il feto nel grembo materno, dal concepimento alla nascita, riproduca nelle sembianze, in modo schematico, tutte le forme attraverso alle quali la natura è arrivata a costruire il corpo dell’uomo.
    Una cosa è certa e cioè che ogni uomo prima di essere adulto ripercorre dalla nascita – nel suo sentire – tutte le fasi di sentire proprie delle forme di vita naturale che sfociano al fine nella vita di coscienza dell’uomo. Cioè ogni uomo dalla nascita alla maggiore età manifesta in successione una vita di sentire che va dal semplice sentirsi di essere che scaturisce nella vita del regno minerale, al sentire di sensazioni del regno vegetale, al sentire di emozioni del regno animale, al sentire di pensiero del regno umano ed infine al sentire di coscienza relativamente al grado di coscienza raggiunto.
    Nella manifestazione del sentire di coscienza vi sono due fattori condizionanti: uno è il grado di sentire raggiunto, l’altro la consapevolezza che non riesce in condizioni normali a ricoprire la coscienza raggiunta. Ed è proprio ciò che impedisce all’uomo di conoscere se stesso. Infatti l’uomo che non ha una coscienza sufficientemente ampia confonde i buoni propositi formulati in astratto con principi derivanti dal suo modo di essere, dalla sua intima natura, e quando la vita lo conduce a collaudare le dichiarazioni di fede, cade miserevolmente in azioni contrarie alle dichiarazioni rese.
    Il problema dell’autoconsapevolezza ridotta investe due aspetti, cioè origina due domande. Una è: perché l’autoconsapevolezza non abbraccia tutta la realtà dell’essere? L’altra è: qual è lo scopo che la natura ha seguito dando all’uomo una autoconsapevolezza ridotta? Ossia, come è e come mai l’autoconsapevolezza dell’uomo è ridotta?
    La consapevolezza è la conoscenza di fatti o notizie che in qualche maniera si sono recepiti. Non la si può identificare con la sola conoscenza perché quest’ultima è un fatto squisitamente mentale, mentre la consapevolezza può essere anche un fatto solo sensorio. Tant’è vero che anche una pianta, che non ha una struttura mentale, è consapevole delle caratteristiche dell’ambiente in cui si trova (caldo, freddo, luce, oscurità, umidità, siccità, ecc.ecc.). la sua non è autoconsapevolezza, cioè potendosi esprimere non direbbe: “io ho caldo”, oppure “ho sete”; tuttavia esprimerebbe la sua condizione di siccità o altro.
    Alla base della consapevolezza, sia essa un fatto unicamente di sensazioni o un fatto complesso che investe una struttura mentale, come l’autoconsapevolezza, ci sono dei sensi. Tant’è vero che la primiera forma di consapevolezza è la sensazione, che è anche la prima forma di sentire, la più semplice: il sentire di esistere, che appunto negli esseri più limitati si identifica nella sensazione.
    Tutti questi termini negli esseri più limitati si identificano, mentre assumono significati diversi negli esseri più coscienti. Ora, il fatto che la consapevolezza all’inizio della scala evolutiva (per così dire) discenda solo dai sensi fisici, trascina con se, nel procedere dell’ampliamento della coscienza, una sorta di abitudine ad usare solo i sensi fisici quali strumenti della consapevolezza. Ecco perché l’uomo, in cui la consapevolezza è un fatto in preponderanza mentale, si ha consapevolezza solo di ciò che i sensi fisici hanno rivelato, salvo poche eccezioni istintive, per altro presenti anche negli animali, e intuitive.
    Tuttavia ciò non significa che la consapevolezza non si possa raggiungere anche attraverso ad altri canali; significa solo che la consapevolezza, almeno fino all’uomo, è ridotta rispetto a ciò che si è, o alle possibilità che si hanno.
    D’altra parte la struttura dell’individuo è tale che egli risponde solo agli stimoli che ha e siccome gli stimoli più marcati gli vengono dai sensi fisici, tutta la sua attività interiore si basa principalmente sugli stimoli sensori e sul mondo da cui quegli stimoli gli vengono.
    Tale priorità non è un errore: così deve essere. E’ un accorgimento della natura per indurre gli esseri dalla coscienza poco ampia a concentrarsi e vivere nell’ambiente adatto allo sviluppo di quella coscienza. Ogni alienazione da quell’ambiente reca danno perché ostacola la manifestazione del sentire logicamente successivo.
    Infatti, fino ad un certo tipo di sentire la manifestazione del sentire secondo la successione logica avviene solo ad opera degli stimoli che derivano dal mondo fisico, intendendo con ciò un senso lato, cioè considerando fisico per esempio anche lo stimolo che un uomo può ricevere dalla riflessione circa l’esistenza del divino. Fisica anche, perché discendente da quello l’attività psichica. Mondo fisico, quindi, non solo ciò che attiene strettamente ai sensi fisici, ma anche ciò che esiste nell’uomo come introdotto da quei sensi.
    Nella fase successiva, quando il sentire è meno limitato, la manifestazione di quel sentire non è più legato ai mondi della percezione e la consapevolezza, non poggiando più sul percepito, si sviluppa sul sentire di coscienza e tutto lo ricopre. E’ quello stadio, appunto, in cui la duplice fase del sentire non si chiama più creazione – percezione, ma creazione – consapevolezza, e la successione logica della manifestazione non è più catalizzata dai mondi della percezione a tal punto che essi non sono più creati dal sentire.
    In conclusione, la consapevolezza dell’uomo è ridotta rispetto al sentire dell’individuo in quanto per abitudine si sviluppa solo sul percepito e questa riduzione è voluta dalla natura proprio per concentrare l’attenzione dell’uomo sulla dimensione che gli è propria: i mondi dell’apparenza, della percezione.
    Vi sono altri esempi di quel processo che sbrigativamente ho chiamato “abitudine”, e che in effetti è trarre una conclusione definitiva o a senso unico da due eventi apparentemente legati: per esempio l’identificazione dell’uomo nel suo corpo fisico per il fatto che gli stimoli ricevuti inizialmente sono solo quelli cui è sottoposta la carne.
    Noi invece vi abbiamo detto che l’uomo è costituito anche da un corpo astrale, che fra l’altro gli attribuisce un mondo emozionale, di un corpo mentale, che gli da una vita di pensiero, e di un sentire di coscienza che rappresenta il nucleo più vero del suo essere perché è quello che permane, anzi è destinato ad ampliarsi vieppiù.
    Il mondo del pensiero e quello emozionale, improntati dall’educazione e da altri fattori ambientali, costituiscono la sua psiche, cioè un altro tipo di sentire che abbiamo chiamato sentire in senso lato definendolo, in modo radicale, posticcio perché non permane, è contingente e può essere indotto, a differenza del sentire di coscienza.
    E’ però d’obbligo avvertire che quanto più si fraziona, si distingue la realtà, che in effetti è tutto uno, tanto più si commette imprecisioni. Così, in effetti l’uomo è una unità ed è tutto uno col suo mondo. Le distinzioni si fanno solo per capire e vanno fatte solo il necessario a raggiungere quel fine.
    Vi abbiamo anche detto che il sentire in senso lato è in ultima analisi uno strumento con cui l’uomo ampia il suo sentire di coscienza. Nella deficienza del sentire di coscienza, l’uomo è diretto dal suo sentire in senso lato e fa quelle esperienze che lo conducono ad integrare nella parte deficiente la coscienza.
    Ora qualcuno è portato a credere che il sentire in senso lato, ossia la psiche, ossia in termini pratici, la personalità dell’uomo e l’ambiente in cui vive, non dico siano da lui scelti – perché abbiamo già detto quanto una simile affermazione sia illogica e soprattutto praticamente impossibile - , ma siamo ordinati a priori dal piano divino e l’uomo vada al posto che gli compete per la migliore sua evoluzione. In altre parole, che l’organico dell’esercito sia a priori stabilito dall’ordine divino e che l’uomo sia chiamato a ricoprirlo e basta.
    In verità, invece, le cose sono esattamente al contrario: l’organico dell’esercito è quello che è in funzione delle caratteristiche della forza, cioè delle attitudini dei militari.
    Ciò può sembrare una precisazione senza valore, ma se andiamo a vedere l’origine, scopriamo quanto importante sia per l’esatta comprensione del sentire. Infatti si comprende la relazione che c’è fra il sentire di coscienza e quello in senso lato.
    Noi abbiamo parlato della creazione del sentire, del fatto che le limitazioni creano l’ambiente, particolarmente dei sensi che creano il mondo fisico, rovesciando anche in questo caso la concezione della realtà.
    Infatti, abbiamo detto che l’uomo non coglie la realtà attraverso ai suoi sensi, realtà che esiste indipendentemente dalla percezione; al contrario, il mondo che l’uomo considera oggettivo non esiste al di là della creazione – percezione dei sensi fisici. Sicché tutti coloro che hanno lo stesso tipo di sensi creano nella loro percezione lo stesso tipo di mondo, di ambiente, di realtà.
    Avere i sensi dell’uomo, tuttavia, è determinato dal sentire di coscienza che l’individuo ha. Appartenere alla specie umana o no è determinato dal sentire e non viceversa. Ogni uomo, quindi, avrebbe uno stesso tipo di sentire, sia egli un santo o un criminale; ma questo, voi capite che non può essere. Perciò per tipo si deve intendere un insieme di gradi di sentire tutti appartenenti ad una stessa gamma, i quali possono ancora essere convenzionalmente raggruppati per analogia in gradi. Sicché la gamma delimita la specie: le analogie delimitano i gradi.
    In seno ai gradi avvengono, col cadere delle limitazioni, le fusioni ed il passaggio al grado superiore, fino al passaggio alla gamma o specie superiore.
    Tutto questo riguarda specificamente il sentire di coscienza.
    Il sentire in senso lato, invece, non determina l’appartenere ad una specie o ad un grado, bensì è determinato da quelle appartenenze. Nell’uomo il sentire in senso lato è determinato dal suo sentire di coscienza e dall’ambiente in cui trova.
    Dire, però, ambiente significa, per esempio, pianeta terra, cioè un insieme di ambienti e per l’uomo un insieme di posizioni sociali differentissime fra loro, portatrici di esperienze diverse tanto che nessun sentire in senso lato sarà mai uguale ad un altro, pur avendo essi, quale substrato, sentire di coscienza tanto simili da essere uguali al di là di una sola limitazione.
    Tuttavia, pure nella eguaglianza dell’ambiente, per esempio fra due gemelli che avessero anche sentire di coscienza analoghi, il sentire in senso lato è molto diverso perché diverse sono le sfere emotiva e mentale. I corpi fisico, astrale e mentale che nel corso della vita si diversificano per esperienze diverse avute, non son uguali neppure alla nascita: potenzialmente contengono i germi della futura diversificazione, germi che provengono dal sentire di coscienza dell’individuo. La sfera fisica, emozionale e mentale dell’uomo, pur essendo plasmabile, tuttavia sono caratterizzate geneticamente dal suo sentire di coscienza.
    Sicché il posto nella società, o ciò che l’uomo è nel mondo ed anche ciò che l’uomo non è nel mondo, essendo conseguenza del suo modo di essere, sono conseguenza “in primis” del suo sentire di coscienza che determina diversità dagli strumenti del suo sentire in senso lato, cioè dei veicoli fisico, astrale e mentale. La diversificazione dell’individuo si accentua ancor più nello sviluppo e nell’uso di tali strumenti. Così si attua la diversificazione degli individui che pure abbiano sentire di coscienza tanto analoghi da essere uguali al di là di una sola limitazione.
    Tuttavia va tenuto presente che la diversificazione non esclude l’unificazione, la quale è il contrario solo della separatività, essendo essa unificazione la sintesi unitaria del molteplice.
    Dunque il piano divino secondo cui tutto è ordinato, compreso i mondi della percezione, non è qualcosa di preesistente; al contrario, deriva proprio da ciò che esiste e rispecchia la consistenza, l’entità del sentire di coscienza. E qui si evidenzia la funzione creativa del sentire, la quale ha luogo nella simultaneità della coscienza cosmica, nello stato di eterno presente in cui versa la coscienza cosmica.
    La coscienza cosmica – una per ogni cosmo – è il più ampio sentire relativo e rappresenta la prima virtuale limitazione dell’Assoluto. Contiene l’intera realtà cosmica costituita di tutti i possibili sentire che dalla sua limitazione costituente conseguono in successione logica. Tali sentire uniti in catene di sviluppo logico originano gli esseri abitatori e costruttori del cosmo, i quali, al di là della successione del divenire – conseguenza della natura stessa del sentire relativo – non sono esseri che sentono, ma insieme di sentire, come tante perle di una stessa collana unita dal filo della consequenzialità logica.
    Un essere quindi non è un ente che diviene nel sentire, ma un insieme di sentire relativi uniti dalla sequenzialità logica, i quali, proprio per il fatto di essere relativi, cioè limitati, sembrano finire procedendo l’uno dall’altro, mentre permangono in eterno presente quali costituenti della coscienza cosmica e quindi assoluta.
    La coscienza cosmica, tuttavia, non rappresenta un sentire dato dalla somma dei sentire costituenti, ma per il principio della trascendenza, che si attua nella simultaneità dell’esistenza di ciò che è molteplice ma unito, è un sentire in qualità che va oltre tale somma.
    I sentire relativi con la loro naturale funzione di creazione – percezione sono gli strumenti attraverso i quali la coscienza cosmica costruisce l’ambiente cosmico. La costruzione, pure essendo strettamente legata a ciascun sentire relativo, va altre la capacità del singolo sentire perché avviene nella fase di simultaneità e quindi con la trascendenza di esso. Mentre la percezione-consapevolezza che rappresenta l’autosentirsi e quindi risultato della creazione, appare, proprio per sua struttura, cioè per poter esistere, come avvenente in successione, perciò senza originare trascendenza. Da qui l’individualizzazione del sentire relativo.
    Da notare che, mentre la creazione, pur essendo simultanea, ha un senso logico in cui il minimo sentire procede dal massimo, la percezione-consapevolezza ha senso opposto: dal minimo al massimo, pur essendo in realtà tutto simultaneo.
    Tale è la realtà al di là del suo apparire.
    Le ipotesi che di essa si fanno partendo dal presupposto che sia reale ciò che appare, sono tutte viziate in partenza, perciò tutte sbagliate.
    Sbagliato è credere che il tempo e lo spazio siano oggettivi, che ciò che è passato non esista più, che il futuro non esista ancora: non esiste nella percezione individuale proprio perché essa esclude in forza della sua struttura la simultaneità.
    Sbagliato è credersi un ente che diviene, che non ha più in sé ciò che ha sentito e non ha ancora ciò che sentirà. Lo stesso sentirsi un ente è sbagliato perché ciò implica una separatività totale e definitiva che in realtà è virtuale e apparente.
    Non dico transitoria perché ciò implicherebbe che fosse reale anche se solo nella contingenza, mentre la separatività è illusoria in quanto non esiste nella struttura della realtà: è solo un sentire.
    Sicché sbagliato è identificarsi nel proprio corpo fisico, credersi non solo un ente che sente, ma anche un sentire che sia realmente distinto dal sentire divino.
    Noi siamo sentire parziali che esistono quali causa e conseguenza del sentire assoluto, che nel momento in cui realmente esistessero, ciò da Lui fossero realmente disgiunti, tutto annienterebbero, se tutto fosse possibile annientare. Il sentire che consideriamo trascorso ci appartiene o non ci appartiene di più di quanto ci appartiene o non ci appartiene ogni altro sentire.
    L’essere reale, che costituisce la vera identità di ogni essere illusorio, è l’essere assoluto.
    Egli non è quel Dio, giusto, misericordioso, tutto amore, se volete, ma irraggiungibile perché al massimo ammetterebbe l’uomo a godere della sua visione. Egli è il supremo stato di coscienza nel quale ci conduce l’insopprimibile e l’ininterrompibile sentirsi di esistere che poggia su stati di coscienza sempre più ampi, sentire sempre più onnicomprensivi fino alla caduta dell’ultima limitazione e al raggiungimento della vera identità.
    La vera grandezza di Dio o – se volete dirlo in termini mistici – il vero e più grande dono che Dio ci ha fatto, sta nel sentirsi di esistere, perché è quello che dà il senso dell’unità del tutto e conduce l’irreale parte a godere della pienezza del Tutto reale.
    cf77
     
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    PIANETA

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    Molto interessante, mi piacerebbe postarlo nel mio forum :) posso?
     
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