LA FUNZIONE DEL GIOCO NELLA VITA PSICOFISICA

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  1. isaefrenk
     
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    Il gioco rappresenta un esercizio fondamentale nella strutturazione della personalità, specialmente di quella in età evolutiva. Teorie psicologiche o biologiche hanno cercato di spiegarne la ragione:

    Gioco come superfluo di energia, secondo cui il soggetto dispone di un’eccessiva carica energetica che ha bisogno di scaricare, facendo qualunque tipo di gioco. È stato però osservato che a volte il bambino (se l’interesse persiste) gioca anche dopo l’insorgere della stanchezza; inoltre la teoria, non spiega il motivo per cui un bambino sceglie un gioco piuttosto che un altro.

    Gioco come residuo di funzioni ataviche secondo cui il soggetto riproduce spontaneamente alcune attività dei lontani predecessori che oggi appaiono inutili. Ad es. la lotta soddisfa una tendenza ancestrale; attuandola il soggetto se ne libera, in quanto considera l’avversario un partner indispensabile. Giocare molto da bambini (insieme ad altri bambini) significa avere più probabilità di socializzazione da adulti.

    Questa teoria è comunque strettamente legata alla legge bio-genetica di Haeckel, secondo cui lo sviluppo dell’individuo ricapitola l’evoluzione della specie (ad es. bambino = uomo primitivo). Questa teoria però, se può spiegare giochi come la lotta, la corsa, l’inseguimento, la caccia..., non può spiegare molti altri giochi frutto dell’imitazione dell’adulto da parte del bambino.

    Gioco come funzione e conservazione dello sviluppo, secondo cui da un lato esso sviluppa e conserva le funzioni utili alla vita adulta e, dall’altro, agisce come una valvola di sicurezza per scaricare l’energia di alcune tendenze antisociali che l’individuo si porta con sé dalla nascita. Questa teoria però non spiega il gioco negli adulti.

    Gioco come esercizio preparatorio, secondo cui l’attività ludica ha il compito di esercitare funzioni biologiche che saranno poi utilizzate nella vita adulta (ad es. il gattino salta sul gomitolo che gli rotola davanti e lo addenta, come in seguito farà col topo). Questa teoria è stata accettata da pedagogisti come Froebel, Claparède e Decroly.

    I giochi infantili:
    Esercizio senso-motorio (primi mesi di vita).
    È un gioco fatto per il solo gusto di esercitarsi, verificando le proprie capacità; dapprima l’attenzione è verso il proprio corpo, poi si sposta verso gli oggetti.

    Giochi simbolici (dai 18 mesi ai 6 anni).
    Attraverso l’immaginazione e l’imitazione, il bambino rappresenta un oggetto-persona-situazione che non sono presenti, ma che fanno parte della sua esperienza; il bambino drammatizza il mondo interiore della fantasia per mantenere l’equilibrio psichico; gli oggetti vengono usati non solo per le loro proprietà funzionali e materiali, ma anche per quelle simboliche, che il bambino attribuisce loro: ciò ovviamente presuppone una certa capacità di analisi del contenuto di un ricordo che il bambino vuole utilizzare.

    Giochi Regolamentati (a partire dai 6 anni).
    Questi giochi subentrano quando il bambino sviluppa la sua socializzazione, cioè dopo aver acquisito un certo grado di adattamento alla realtà e di tolleranza alle frustrazioni (in questi giochi infatti deve accettare la sconfitta e non infierire sull’avversario in caso di vittoria). Le regole possono essere tradizionali (quelle tramandate) o frutto di accordi momentanei: l’importanza del loro rispetto è fondamentale per la riuscita di questi giochi.

    Hobby (a partire dai 6 anni).
    Vengono intrapresi per puro piacere, ma sono sottoposti alla realizzazione consapevole di uno scopo, che a volte può durare anche tutta la vita, se le gratificazioni ch’essi forniscono si fanno col tempo sempre più considerevoli (ad es. gli scacchi o la raccolta dei francobolli). Si pongono quindi in una via di mezzo fra il gioco e il lavoro.

    La capacità di giocare si trasforma in capacità di lavorare quando sono state raggiunte le seguenti condizioni:

    a) capacità di controllare o modificare gli impulsi, che da aggressivi - distruttivi devono diventare costruttivi;

    b) capacità di portare avanti piani prestabiliti, trascurando il piacere immediato, le frustrazioni momentanee, e pensando invece al risultato finale;

    c) capacità di passare dal principio del puro piacere (fonte di egocentrismo) al principio di realtà, che permette di vivere il piacere nel rispetto delle regole sociali.
    È necessario armonizzare il lavoro manuale con quello mentale, sia per creare una personalità psico-fisica equilibrata, che non abbia difficoltà a muoversi nelle varie situazioni che incontra; sia per impedire che si formi, come spesso invece succede, la discriminazione del lavoro manuale rispetto a quello intellettuale. I fatti purtroppo dimostrano che questa unità di energia muscolare e psichica tende a spezzarsi man mano che l’adulto si specializza in una determinata attività lavorativa.

    http://www.viveremeglio.org/bambini/attivi...nzionegioco.htm
     
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0 replies since 24/6/2009, 22:27   81 views
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