TOXOPLASMOSI-Trasmissione materno-fetale

i figli ,parliamo dei 9 mesi di gravidanza

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  1. isaefrenk
     
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    TOXOPLASMOSI



    La toxoplasmosi è una zoonosi causata dal Toxoplasma gondii, un protozoo intracellulare obbligato. è un organismo ubiquitario che esiste in tre forme: l’oocita che viene escreto dalle feci dei gatti infetti, la forma proliferativa (trofozoita o tachizoita) e la forma cistica (cistozoite) che si trova nei tessuti degli animali infetti.

    Il gatto, che è l’ospite definitivo, viene infettato per ingestione di carne infetta o tramite ingestione di oociti escrete da altri gatti. Le oocisti escrete con le feci sono infettive e possono essere isolate dal terreno frequentato dai gatti.

    L’organismo in natura si trova in altri ospiti accidentali quali animali carnivori, onnivori ed erbivori (alcuni mammiferi, uccelli ed in qualche rettile). L’infezione viene trasmessa per via orale mediante cibi poco cotti o carni crude, contenenti le cisti. Il congelamento a –20 °C o la cottura a 66 °C della carne rende le cisti non infettive. L’infezione congenita da toxoplasmosi rappresenta circa il 33% di tutte le infezioni trasmesse per via verticale. Si calcola che il 50/60% delle donne in età fertile potrebbe essere suscettibile di infezione primaria da toxoplasma. L’incidenza di toxoplasmosi congenita è di 3-6 casi per 1.000 nati nei paesi ad alto rischio per questa infezione, 1-2 casi per 1.000 nei paesi a basso rischio.


    Trasmissione materno-fetale

    La percentuale di trasmissione fetale aumenta dal 20% al 54% e al 64% nel 1°, 2° e 3° trimestre, rispettivamente; queste differenze sembrano dovute al diverso spessore della placenta nelle varie fasi della gravidanza. Complessivamente il rischio di trasmissione verticale è del 40%. La gravità del danno fetale è direttamente proporzionale all’età gestazionale al momento dell’infezione: quanto è più precoce l’infezione gravidica tanto più grave sarà il danno fetale; i casi clinicamente sintomatici di toxoplasmosi congenita riguardano quasi esclusivamente i feti infetti prima della 26° settimana.


    Quadro clinico

    Infezione materna

    L’infezione nella donna gravida decorre per lo più in modo asintomatico; quando diventa sintomatica la manifestazione più comune è una linfoadenopatia, senza febbre, accompagnata da astenia e cefalea. Il rischio di infezione fetale non correla con la gravità dell’infezione materna, il che non facilita l’approccio terapeutico per queste pazienti.

    Infezione neonatale

    L’esito per un neonato di un’infezione materna da toxoplasmosi comprende tutte le possibilità: dalla normalità alla morte in utero.

    La triade classica è costituita da corioretinite, idrocefalo e calcificazioni intracraniche, ma tali sintomi sono presenti solo nel 10-30% dei casi, mentre più del 75% dei neonati è asintomatico alla nascita e può presentare sintomi più tardivamente. Altre possibili manifestazioni di infezione fetale sono: ritardo di accrescimento endouterino e prematurità. I segni neurologici sono quelli che più gravemente caratterizzano l’infezione congenita; i più frequenti sono le convulsioni, il nistagmo, la microcefalia.

    La toxoplasmosi rappresenta una delle cause più frequenti di corioretinite. In più della metà dei casi è presente bilateralmente, in alcuni casi si può associare ad atrofia del nervo ottico, strabismo, nistagmo, cataratta. Attualmente non vi sono parametri che permettano di prevedere l’esito dei neonati infetti asintomatici alla nascita, anche se i dati della letteratura indicano che le sequele più gravi si verificano nel neonato già sintomatico alla nascita. Per questo motivo è fondamentale proseguire con dei controlli clinici fino all’età scolare.

    Diagnosi

    La diagnosi di infezione congenita si basa su:

    - test diagnostici diretti: coltura cellulare, amplificazione del genoma (PCR, Polymerase Chain Reaction);

    - test diagnostici indiretti: IFA (immunofluorescenza indiretta), ELISA (IgA, M, G), ISAGA (immunoassorbimento per IgM), Western-blot, test di avidità per le IgG.

    La Polymerase Chain Reaction è una tecnica di amplificazione genetica utilizzata per diagnosticare l’infezione congenita da toxoplasmosi sul liquido amniotico o su sangue fetale.

    In gravidanza

    è sempre opportuno avere un test di screening pregravidico.

    Nel caso di sospetta infezione gravidica è fondamentale indagare la sierologia materna per identificare l’epoca di sieroconversione. è opportuno valutare almeno due esami sierologici a distanza di 3 settimane uno dall’altro. Per datare l’inizio dell’infezione risulta utile il test di avidità delle IgG specifiche.

    Al fine di valutare gli eventuali segni di infezione fetale come ascite, ventricolomegalia, calcificazioni intracraniche, aumento del peso placentare, è opportuno effettuare un esame ecografico ogni 15-30 giorni. Dopo almeno 20-30 giorni dal contagio, per evitare falsi negativi, andrebbe effettuata una amniocentesi con ricerca del DNA mediante tecniche di amplificazione genetica (PCR).

    Nel neonato

    Alla nascita, per valutare la presenza di infezione congenita, il neonato dovrà essere sottoposto ad esame sierologico per valutare il titolo delle IgM e delle IgA.

    L’infezione è certa ovviamente anche in caso di coltura positiva o positività con ricerca mediante PCR. E’ fondamentale eseguire un follow up sierologico fino all’età, in quanto alla nascita la ricerca delle IgA e delle IgM può essere negativa e la risposta anticorpale può essere ritardata nei bambini trattati.

    Alla nascita il neonato dovrà essere sottoposto ad esame clinico, neurologico, oculistico e ad ecografia celebrale. Se l’infezione è certa, è opportuno eseguire anche esami strumentali quali, TAC o RMN encefalo, potenziali evocati uditivi, EEG.

    Terapia

    Madre

    Nel sospetto di infezione deve essere instaurata terapia materna con spiramicina (900.000.000 UI/die) fino all’esclusione dell’infezione o fino al parto se l’infezione è confermata, in quanto è dimostrato che la terapia materna riduce fino al 60% la trasmissione fetale.

    Neonato

    Per il trattamento neonatale sono proposti diversi schemi terapeutici, nessuno dei quali si è dimostrato superiore rispetto agli altri.


    Prevenzione

    I metodi di prevenzione per ridurre l’incidenza della toxoplasmosi congenita sono diversi. è pertanto importante:

    prevenire l’infezione da oocisti secrete dai gatti (lavare la frutta e gli ortaggi prima del consumo, prevenire il contatto di mosche e scarafaggi con il cibo, disinfettare la lettiera del gatto con acqua bollente, utilizzare guanti durante il giardinaggio);

    prevenire l’infezione da carni, uova e latte (cuocere bene la carne, non toccare le mucosa di bocca o occhi mentre si maneggia la carne cruda, cuocere le uova, non bere latte non pastorizzato);

    prevenire l’infezione al feto (prevenire l’infezione materna, identificare le donne a rischio con test di screening, trattare le donne infette, identificare il feto infetto con ecografia funicolocentesi e amniocentesi).

    Prevenire l’infezione da trasfusione di sangue o da trapianto d’organo (non prelevare prodotti ematici da donatori sieropositivi per riceventi sieronegativi).
     
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