Le emozioni a scuola

i primi 7 anni

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  1. isaefrenk
     
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    L’adulto che insegna attraverso la considerazione delle emozioni dei suoi allievi, pone attenzione alla cura degli aspetti relazionali legati alla sua attività, egli avrà più possibilità di arrivare a far parlare “da dentro” il mondo dei ragazzi e a dar voce al loro mondo interno.

    Così, ad esempio, un insegnante che si dovesse trovare a spiegare la profondità emozionale del pensiero di Giacomo Leopardi, non potrà fare a meno di domandarsi (e, forse, anche domandare) che tipo di emozioni stanno provando gli allievi.

    Non è possibile promuovere un apprendimento senza capire cosa succede dentro, emotivamente, nel momento in cui si interagisce con allievi o figli.

    Nella pratica didattica attuale, non raramente, purtroppo, i fattori emotivi vengono considerati un ostacolo al lavoro delle funzioni cognitive, privando in tal modo i ragazzi di pervenire ad un apprendimento significativo.

    Secondo Carl Rogers, la scuola non sarebbe capace di occuparsi della crescita globale di bambini e ragazzi ed educare la persona intera, ma si occuperebbe dell’allievo solo “dal collo in su” come se questi fosse una testa vagante e non una persona.
    Se l’insegnante in questo caso avrà le caratteristiche di un “insegnante sufficientemente buono”, potrà arrivare a relazionarsi con la parte profonda dei suoi allievi, se invece egli non ne sarà capace sarà destinato a svolgere il suo lavoro senza passione e forse anche senza soddisfazione esponendo se stesso al rischio di cadere in burn-out.

    L’insegnante che pone cura non solo riguardo allo sviluppo di competenze cognitive e razionali, ma anche all’aspetto relativo alle emozioni è un adulto che pone le basi per un apprendimento globale dove il ruolo dei sentimenti è senz’altro significativo per una comprensione più profonda.

    Peraltro, il pensare con razionalità, e quando l’attività del pensiero è dissociata dal sentire, può generare mostri e non è possibile promuovere un apprendimento senza sapere che cosa succede dentro nel momento in cui si interagisce con gli allievi. Facendo riferimento alla doppia funzione della madre, che nutre con il latte e con tutta se stessa (emozione e trasporto partecipativo) il suo bambino, potremmo dire che una scuola attenta non dovrebbe privilegiare un aspetto a scapito dell’altro poiché questo potrebbe provocare una scissione tra emozione e intelletto che dovrebbero invece andare sempre d’accordo e a braccetto.

    La scuola attuale, invece, privilegiando un apprendimento di tipo intellettuale riprodurrebbe la scissione tra sentimento e cognizione, tra cuore e ragione, tra mente e corpo e sarebbe diventata come quella madre che si prende cura del suo bambino solo attraverso la somministrazione del suo latte senza preoccuparsi della qualità della relazione che ha con lui e dei bisogni emotivi del suo bambino.

    Tra l’altro, non dimentichiamo che l’apprendimento riuscito non è tale quando si hanno più conoscenze ma quando si è aumentata la capacità di riceverle; non si tratta cioè di un fatto quantitativo ma di una realtà qualitativa; arrivare insieme a costruire una “mente che pensa” è più importante che arrivare a costruire una “mente che riproduce”.

    Un vero apprendimento non produce “sapere restituivo” e nozionistico ma conoscenza autentica.

    Diceva Kant ai suoi allievi “Da me non imparerete filosofia, imparerete a filosofare, non a ripetere pensieri, ma a pensare” nel senso che non è importante, secondo questo autore, la quantità delle nozioni immagazzinate ma la disponibilità ad apprendere, ad essere curiosi e motivati, aperti all’esperienza.

     
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